Mai scorderai, l'attimo, la terra che tremò.
Perché l'11 marzo di
due anni fa è stato come l'11 settembre di 12 anni fa e come il 12 dicembre di
44 anni fa: non si può dimenticare la perdita dell'innocenza. Se non c'ero il
giorno di piazza Fontana, ricordo bene il crollo delle torri gemelle: ero comodamente
di fronte al computer. Così come ero di fronte al computer – ma molto meno
comodamente – anche quando la Terra ha voluto ricordare a coloro che abitano su
quel limbo di crosta chiamato Giappone che noi creature siamo solo ospiti nel
nostro viaggio su di essa, autostoppisti scaricabili all'evenienza, una
casualità di cui sbarazzarsi con naturalissima noncuranza.
Magnitudo 9. Non era
a Tokyo: qua i danni fisici sono stati limitati a qualche tazza rotta. Nel
Tohoku, più vicino all'epicentro, non ho mai ben capito quanto disastro abbia portato
il terremoto in sé: ovvio, l'Italia sarebbe stata rasa completamente al suolo, però
gli edifici nipponici sembravano aver retto bene. Ma poi è arrivato lo tsunami.
E poco dopo lo "tsunami nucleare". Così anche qua a Tokyo non ci si è
più sentiti al sicuro e i fortunati come me se la sono volata via. Il calore
italico aveva poi lenito quel retrogusto di vigliaccheria ch'era rimasto in
bocca.
Dopo due anni, a
volte pensi di essere tornato: in quel luogo, in quell'emozione. Ma non è mai
così. Le menti argute ci dicono che ogni volta che facciamo l'amore è perché
vogliamo ricreare l'esperienza della prima volta. Ma – anche se meglio di
allora – non sarà mai così. Perché noi e loro dimentichiamo che siamo obbligati
nella direzione della nostra freccia temporale. Di qui non si torna indietro.
Specialmente dopo la
distruzione. Raccogliere le macerie per poi ricostruire. Sicurezze, relazioni,
case: tutto nuovo, magari più bello di
prima. Stiamo meglio? Può darsi. Ma al netto dell'entropia: i lutti, le
risalite, il calore disperso nell'universo.
Non so ponderare gli
orrori e le difficoltà di chi viveva e magari vive ancora da quelle parti, più su,
vicino a Fukushima, con un pericolo nucleare irrisolvibile e umanamente infinito.
L'empatia infinita è però propria di dio, e così a me resta solo il mio
sistema fatto di piccoli rancori irrazionali e quel poco di sofferenza che
ho provato direttamente: il crollo di un sacco di certezze e dell'amicizia
ideale con questo paese che – nonostante sia impossibile odiare un posto dove
l'accoppiamento dei panda allo zoo di Ueno è notizia più importante della gravidanza
di Kate Middleton – non è più stata ricucita.
E quando il terremoto
torna, come il 7 dicembre scorso con una scossa di magnitudo 7.3, può anche
fare il solletico alle strutture giapponesi (intonse – e ripeto: l'Italia
sarebbe stata fatta a pezzi), ma la paura rimane: prima quella di rivivere la
tragedia dell'11 marzo e poi quella che tutto vada ancora peggio; non è
possibile che la prossima volta esploda il Fujiyama e ci seppellisca tutti in
una nuvola di fumo? Ma quando non ci sono conseguenze, i cataclismi non sono
tali e resta solo la fretta di dimenticare.
Crediamo che le cose succedano solo agli sconosciuti
Rinneghiamo la tragedia
Rinneghiamo la tragedia
Ma è l'unico modo che
abbiamo per andare avanti. Scrivere fa bene, finché c'è inchiostro. Poi non
resta che una "freccia senza direzione" e l'eccitazione nel provare
un detersivo liquido di nuova generazione: pulisce a fondo, i capi escono
teneri, profumati e candidi come un'anima ancora immacolata. Come quella di un
figlio che dorme ogni volta che la terra trema. Vai a dargli torto.
Nessun commento:
Posta un commento